FORENZA - IL CROCIFISSO
Nel 1684 i francescani riformati costruiscono a Forenza un convento che prende il nome di SS. Crocifisso, è proprio l'intensità drammatica del suo crocifisso, la profonda espressione di dolore riflessa sul volto del Gesù che porta a rafforzare ancora di più l'aura di pietà che il crocifisso deve dare. A questo contribuisce una leggenda che vede il frate scultore, Fra Angelo da Pietrafitta incapace di completare il capo del Cristo. Stremato dalla fatica al risveglio trova l'opera rifinita, forse dalla mano di un angelo.
LAGOPESOLE - Il BARBIERE DI FEDERICO BARBAROSSA
Federico I Barbarossa, in vecchiaia, si ritirò al Castello di Lagopesole e, siccome era afflitto da una deformità congenita che lo costringeva a nascondere delle orecchie allungate e puntute sotto una fluente capigliatura, per impedire la divulgazione della notizia della sua deformità, l'imperatore aveva ordinato che i barbieri da cui si faceva radere, al momento in cui lasciavano la dimora imperiale, venissero portati, attraverso un corridoio, in una torre dove era un trabocchetto, nel quale erano spinti e rimanevano sepolti.
Da questa triste sorte un barbiere giovane riuscì a sfuggire evitando la mortale torre. Ebbe salva la vita a condizione che non avesse raccontato a nessuno del segreto dell'Imperatore. Il nostro barbiere era veramente intenzionato a mantenere il segreto, ma la notizia era grossa, allora, non volendo mancare alla promessa fatta, anche perché temeva giustamente per la propria vita, andò nel luogo più nascosto della campagna di Lagopesole, una volta arrivato, scavò un buco profondo nel terreno e, parlandoci dentro, raccontò il segreto dell'Imperatore.
Dopo qualche tempo, sul posto, crebbero delle canne che, agitate dal vento, con il loro fruscio, che diventava sempre più forte ed insistente, ripetevano una canzone "Federico Barbarossa téne l'orecchie all'asinà a a a a ...", di qui il ritornello è giunto fino ai tempi nostri ed è stato ripreso anche in canti popolari della zona.
LAGOPESOLE - ELENA degli ANGELI
L'altra leggenda, certamente legata ai fatti storici che avvennero dopo la sconfitta e la morte di Manfredi, dice che in alcune particolari notti, quando la luna è alta nel cielo e tutta la campagna tace, dal Castello si vede apparire e scomparire una luce portata da una fanciulla vestita di bianco e si sentono lamenti, invocazioni ed urla di disperazione. La bella Elena degli Angeli, moglie disperata di Manfredi, torna al Castello dove visse felice a cercare il caro marito e gli amati figli perduti per sempre. Ed il biondo Manfredi, cavalcando il suo magnifico stallone bianco, con un bellissimo vestito dal lungo manto verde nella profondità della notte può essere incontrato nelle campagne attorno al Castello, che vaga all'eterna ricerca della sua famiglia distrutta dall'Angioino.
IL SANTO PESCATORE - LEGENDA DEL VULTURE
Il primo uomo, che abitò la nostra montagna, era un giovane pescatore. Camminava a piedi nudi e a testa scoperta, e portava abiti di pelle di capra e di pecora. Si dice che fosse un santo: certo che come i santi lavorava dalla mattina, pregava spesso Dio inginocchiato, si nutriva di miele, di latte e di pesci.
Venuto forse da montagne più nevose ed alte della nostra o dalla Puglia, liscia e piana come la palma della mano, si costruì con le canne un pagliaio, con le querce una barca, con i fili di canapa le reti. Dalla sua terra aveva portato una scure e delle pecore.
La notte dormiva nel pagliaio. I lupi passavano, sentivano la carne umana, ma non lo uccidevano; i cinghiali non gli devastavano il seminato, perché Dio protegge le anime buone, ed il pastore era buono e santo.
Una volta, verso mezzanotte, si destò di botto: una luce, tremula e bianca come argento, entrava nella capanna. Il pescatore si fregò gli occhi; non aveva visto mai cosa simile. Uscì fuori, guardò la terra e il cielo:una meraviglia! Il cielo non aveva né stelle né luna: era azzurro-viola come nell'ora del tramonto, la terra era velata d'argento come la Via lattea, fioriva di stelle grandi e lucenti, taceva come un cielo d'estate. <<Miracolo!>> pensò il pescatore. <<Eh! se fosse il demonio?>> si domandò. Ma non poteva essere il demonio, perché il demonio non ha lo splendore delle stelle, ma la vampa livida e rossastra del fuoco.
Il pescatore camminò pel meraviglioso paradiso. Gli alberi non si muovevano, rifiorivano di tremule stelle e spandevano foglie lucenti; la montagna mandava al cielo raggi sterminati di luce,; non cantava l'usignolo ed il grillo, non stridevano il gufo ed il cuculo, il lupo taceva: solo dal cielo pareva calasse una dolce armonia.
Il pescatore giunse ai laghi: il piccolo, rabbrividendo, vaporava spume di luce; il maggiore, dov'era la barca, sembrava uno specchi d'argento. Vicino, a pochi passi dalla sponda, v'era un gomitolo d'oro. Il pescatore guardò: gli sembrò che un cerchio d'oro se ne sciogliesse, e vide una testa di donna con una lunga chioma d'oro, ondulante sulla superficie del lago.
La donna piangeva. <<Nella, Nella mia!>> gridò il pescatore, che riconobbe l'amata mortagli. Ma la voce non si sentiva: tutto quella notte doveva tacere. Allora sciolse la barca e batté il remo. <fu un fracasso d'inferno: il lago le valli il cielo echeggiavano al tonfo, e la donna aveva paura e fuggiva pel lago. Il pescatore si fermò, fé' cenno alla donna, ed anch'ella si fermò; ma non appena rimosse il remo, di nuovo il fracasso, di nuovo la donna scappava. La chioma della donna segnava una striscia d'argento nella striscia dell'acqua; il pescatore seguiva la striscia e gridava:<<Nella! Nella mia!>>; ma rimbombava solo il fracasso dei remi, e la donna aveva paura. L'uomo si disperava. La sciando andare il remo, fisso la donna che, al solito, s'era fermata poco lontano e piangeva. Allora prese la rete e la buttò nel lago. La donna scomparve. <<L'ho pescata!>> disse e tirò la rete. Vide tremolare e cadere da questa tante stelle, e la donna non v'era: riapparve a poca distanza dalla barca. <<Che! S'afferri al remo?>> si domandò il pescatore. Aveva allora allungato il remo che dal fondo del lago apparvero mille e mille donne, tutte simili a Nella coi capelli d'oro e con gli occhi piangenti; e poi vennero mille brutte vecchie, secche e senza denti, che circondarono le belle fanciulle e sghignazzavano senza misura.
Il pescatore non distinse più la Nella sua: quando allungava il remo fuggivano le belle e s'appressavano coi loro orribili visi le brutte.
E così per tutta la notte, sino al canto del gallo, inseguì senza posa alcuna. L'altra notte lo stesso, poi l'altra, e ancora ed ancora, finché il pescatore si disperò, non pregò più Dio e impazzì....
Spesso nelle notti d'estate, per un'ora sola, nel bosco tutto s'acquieta e diventa d'argento; e allora dalla sponda del lago si vede un pescatore, vestito di pelli di capra e di pecora, che insegue tante e tante belle donne dai capelli d'oro, senza fine, disperatamente.
Guai a chi si ferma! Bisogna fuggire; se no, come il santo pescatore, non si prega più Dio.
IL PASTORE ANDREA
Il pastore Andrea era un uomo un pò misterioso. Aveva letto le sacre carte, e studiava sempre la segreta virtù delle pietre e delle piante. Quando una pecora u una persona ammalava, veniva pastore Andrea, applicava qualche erba pesta, ed il male spariva.
La sua graggia era la più florida della montagna: egli tondeva due volte l'anno la lana bianca delle pecore, che aumentavano a dismisura. Pure non era felice: si vedeva bene dal volto.... La fronte alta, gli occhi neri e profondi avevano l'espressione d'un odore sconfinato; parlava poco, non cantava mai, pregava spessissimo in mezzo la greggia pascolante, a capo scoperto e inginocchiato. Non si conosceva la sua età: talvolta aveva un viso d'innocente fanciullo, tal altra una voce tremula e severa di vecchio. Conosceva i misteri della montagna e del cuore umano, sapeva il segreto delle piante, la vita delle cose, e studiava, studiava sempre sacre carte.
Quando conobbe tutto, egli volle vedere il Pastore dei pastori, che abita nella santa città, a Roma. Chiamato un giovane, suo benamato, gli affidò le pecore, raccomandandogli : «Giovanni, abbi cura della greggia mia! É benedetta dal Signore. Tu serba l'animo mondo, ed il signore darà a te la pace, alla greggia la lana bianca».
«E tu?» domandò Giovanni.
«Io vo a Roma per vedere il Pastore dei pastori».
Giovanni non capì; a pastor Andrea discese solo, senza mezzi, con l'animo ricco di grazia divina, dalla montagna dov'era cresciuto.
Attraversò la Puglia, la Puglia senza montagne e senza fontane. Tutto in quella terra sembrava fosse calore, ricchezza e sete. I campi di grano s'estendevano senza fine ondeggiando, ed i canti dei mietitori celebravano la potenza del sole, che rende bronzea la pelle umana e argentei i verdi fili di grano. Andrea soffriva orribilmente la sete ed il calore: camminava ore intere senza trovare una grotta fresca e zampillante d'acqua: non un fossato, non una polla di sorgente, non un metro di muschio. La polvere delle strade, fina e bianca, gli essiccava il viso; i tramonti e le aurore, avvampanti di fuoco sterminato, lo sgomentavano. Pure egli continuava: Dio amorosamente lo vegliava.
Giunse al mare. Oh! il mare è buono, è carezzevole come la mamma nostra. Pastore Andrea si posava sul lido e, cullato dalla dolce nenia dei flutti, s'adormentava. Le acque capricciose e spumanti gli lambivano le mani, i piedi stanchi; lo coprivano di fresca rugiada.... E Andrea sognava della sua umida montagna; delle sue pecore e del Pastore dei pastori, che parla con Dio.
Lascò il mare e, cammina cammina si trovo di nuovo in mezzo alle montagne alte e splendenti come cristallo, pei ghiacciai. Il sole vi si rifrangeva come in un specchio e non squagliava il ghiaccio, che pareva infinito. Pastore Andrea sentiva freddo. Il suo vestito era lacero, i piedi nudi, le membra contuse, e dal giorno della sua partenza non aveva mangiato. Lo sostentavano la preghiera ed il santo desiderio di veder Roma. La notte, s'addormentava sul ghiaccio: e Dio, che lo vegliava amorosamente, faceva fioccare dal cielo la neve sul suo corpo. Questa, soffice come piuma e bianca come lana, copriva il pastore, che segnava i più bei sogni e, se il sole non avesse potentemente sfolgorato, avrebbe dormito sempre.
Frattanto pel viaggio e le sofferenze pastore Andrea s'era estenuato: gli occhi s'erano incavati; la pelle rugosa; i capelli lunghi lunghi; la persona stecchita; il petto poi gli era divenuto trasparente, e rosso e grande si vedeva il cuore. Più settimane passavano, più pastore Andrea soffriva, più il suo cuore diveniva rosso e grande.
Finalmente, quando mancavano altri pochi giorni per compiere il viaggio, scontrò numerosi pellegrini. V'erano uomini dal viso nero, altri dal viso giallo, re, imperatori, un'infinità e varia turba di persone. Tutti portavano doni al Pastore dei pastori: chi cavalli, chi oro, chi seta. Solo pastore Andrea non aveva nulla: «Se avessi menato la graggia!» sospirava. Frattanto il suo petto diveniva trasparente ed il cuore splendeva come fiamma.
Roma è la città di Dio; è la dimora del papa é tutta d'oro e d'argento. Il papa porta come i pastori un berretto, ricco di gemme però, ed un bastone d'oro. É un vecchio venerando, non ha mai peccato e intende il linguaggio degli uomini e degli angioli. Sta' su un tronco d'oro, accetta le offerte dei pellegrini e li benedice. Il trono è alto alto, bisogna salirvi per una lunga scalinata.
Pastore Andrea non aveva coraggio d'avvicinarsi: tutti portavano doni e lui non aveva nulla, proprio nulla da offrire. «Padre», gridò, «io non ti porto niente. Ti porto il mio cuore, eccolo!» (il cuore risplendeva come fiamma). «Ho traversato, senza bere e senza mangiare, la Puglia polverosa; mi sono riposato sul duro scoglio, ho dormito sulla neve; le mie vesti sono lacere, il petto consunto. Padre, non posso offrirti altro che il cuore».
Il Pastore dei pastori lo guardò e gli fe' cenno di salire. La folla ossequiosa fece ala ad Andrea. Ma la scalinata era lunga, ed egli non aveva più forza. Non volle essere aiutato: aveva attraversato tante montagne, ora non poteva salire cento scalini! Carponi giunse, senza fiato e senza vita, al trono. Gli occhi s'erano inondati di celeste grazia, nel vedere il candido Pastor dei pastori. Tese le labbra per baciargli il piede e spirò.
Anche morto, il cuore risplendeva come fiamma viva. Nella chiesa si gridò: «Miracolo! Miracolo!».
FIORELLA DORMIENTE
Fiorella, la vergine folle, s'addorme sulla riva dell'Ofanto, dove i pioppi alti e bianchi ed il giunco rigoglioso attenuano la fiamma del sole. Ella non ha più veste: la bella veste muschiosa qua e là ha lasciato in lembo nelle notti di primavera. Come belle le notti di primavera!.... Allora Fiorella s'è da poco svegliata dal lungo sonno: ha una veste fresca e verde come il grano che spunta, gira leggiera come un soffio di vento, e con le palme aperte versa il profumo nei calici dei fiori schiusi senza odori. La veste le svolazza flessuosa, spesso s'impiglia in un rovo o sbatte contro una roccia; ed allora il rovo fiorisce e la roccia si copre di muschio.
Gli occhi di Fiorella sono deboli: non reggono al sole d'estate ad al baglior delle nevi. Quando il sole accartoccia le foglie, Fiorella scappa tra i giuncheti, sulla sponda umida dell'Ofanto, dove fremono i pioppi alti e bianchi. Cerca un luogo dove non penetri la luce e, serrate le mani, dorme profondamente.
Cadono lente le foglie dei pioppi sulla vergine folle; le querce della montagna la coprono delle loro fragili e tremule foglie. Ed ella con le mani serrate dorme profondamente. I fiori non hanno profumi, perchè Fiorella, la notte, non spande più il soave effluvio.
Poi l'autunno distende la nebbia fitta e grigia, Fiorella ha freddo.... L'inverno fiocca la neve bianca e soffice, che macera le foglie e gonfia l'Ofanto. La montagna non ha più precipizi, par quasi monotona ed eguale come pianura. E Fiorella non dorme più: ha paura. Prega la terra che le ritessa la nuova veste fresca e verde, come il grano che spunta; sente i germi dei fiori che la chiamano, il sole che intiepidisce; ed, una bella notte, rigida per la terra, versando dalle mani aperte effluvi nei calici dei fiori.