"Di pelo alquanto rosso e di volto allegro" Federico II, in seguito alla Dieta di Capua del 1221, si diresse a Salerno e poi in Puglia da dove raggiunse la costa ionica. É questa l'occasione in cui il nuovo sovrano stabilisce i primi contatti con la Basilicata ed in particolare con i paesi della contea di Montescaglioso e della diocesi di Anglona. Tra la foce del Bradano e del Sinni, Federico II fu particolarmente colpito dalla fertilità dei suoli e dall'estrazione di pece e catrame fatta sui tronchi di pino, trasportati al mare dalle correnti fluviali; e fu grazie al suo intervento che il porto di Eraclea tornò a rivivere dopo anni di abbandono.Nella regione del Vulture Federico II si fermò per la prima volta nel 1225 quando a Melfi decise di convocare la Dieta per il reperimento dei fondi straordinari da destinare all'allestimento dell'armata da inviare in Terra Santa. Oltre a trovarsi al centro del Regno Melfi offriva una serie di vantaggi grazie ai recenti interventi del vescovo Richiero che aveva fatto costruire il ponte sull'Ofanto, per facilitare l'accesso al paese, un ospedale ed un ricovero per i viandanti. Il ritardo della crociata, promessa da Federico II ai tempi dell'investitura, accentuò i dissensi con il papato, che mai si sarebbero placati sino alla morte del sovrano. Lo svevo del resto, per quanto avesse giurato fedeltà alla Chiesa, mal tollerava le ingerenze del papa nelle questioni del Regno, nonostante provvedesse ad intrattenere buoni rapporti con i vescovi che, in un certo senso, costituivano la base solida del suo consenso; questo avveniva soprattutto in Basilicata e nella diocesi di Melfi, dove Richiero era divenuto consigliere negli affari del re. Federico inoltre era piuttosto tollerante nei confronti degli ebrei, contro i quali invece la chiesa aveva già canonizzato la sua discriminazione (IV concilio lateranense); ma gli ebrei, come abbiamo avuto modo di ricordare, vivevano in gran numero nel Regno ed esercitavano attività commerciali e produttive di rilievo, gestendo una cospicua fetta di denaro liquido, motivo non certo secondario nella scelta antipersecutoria di Federico II, che sovente, non potendo ulteriormente caricare di tasse i sudditi già fin troppo vessati, doveva ricorrere a prestiti esterni per la sua dispendiosa reggenza. Fra i provvedimenti che più d'altri fecero innervosire il papato, vi era quello con cui Federico II frenava le donazioni a chiese e comunità monastiche per evitare l'accrescimento della manomorta. Nel settembre del 1229, papa Gregorio IX che ormai proprio mal tollerava la politica dell'imperatore svevo, adducendo quale motivazione l'ennesimo ritardo alla partenza della crociata, pure arrestatasi per una violenta epidemia di peste, scomunicò Federico. A questo provvedimento seguirono violenti tumulti e sollevazioni che le forze sveve sedarono con violenza "esemplare", distruggendo fra gli altri il casale di Gaudiano. Ristabilito l'ordine pubblico Federico ritenne giunto il momento di partire per la Terra Santa e il 18 marzo del 1229, in seguito ad un insperato accordo con il sultano, che gli concedeva profitti in Terra Santa per dieci anni, entrava vittorioso in Gerusalemme e per Gregorio IX, che sperava così di annientare lo svevo, fu uno scacco insopportabile. "La fatale contesa tra le due potestà, causa prima di tutti i nostri guai" -commentava Giustino Fortunato- si riaccendeva con tanta violenza "da far impallidire le antiche memorie".
Diffondendo la voce della morte del sovrano il Papa marciava verso i territori del Regno; ma Federico, rientrato rapidamente da Gerusalemme, nel giugno del 1229, costrinse il pontefice a trattare la pace e sei mesi più tardi, Gregorio IX, prosciolse il sovrano dalla scomunica. Intanto, la situazione delle campagne era disastrosa, colpite sin dal 1227 da una profonda carestia frumenti seguita ad una terribile invasione di bruchi che aveva distrutto gran parte del raccolto cerealicolo della zona del Vulture.
Nel maggio del 1231 Federico ritornava in Basilicata insieme a Pier della Vigna, suo collaboratore strettissimo, e all'arcivescovo di Capua, ai quali era stato affidato il compito di raccogliere, in un unico corpo legislativo, le disposizioni emanate a Capua, a Messina, a Melfi, a Siracusa e a S. Germano a partire dal 1220. Concluso questo lavoro, nell'agosto del 1231 innanzi alla solenne Dieta di Melfi, veniva promulgata la Constitutiones regni Siciliae, correntemente chiamata Augustales o Melfienses, strumento legislativo di primaria importanza nel panorama dell'Europa Medioevale. Il codice delle costituzioni, secondo gli intendimenti del sovrano, venne tradotto anche in greco, certificando una presenza consistente nel Regno di popolazione di lingua greca durante il medioevo. Alla base dell'emanazione del codice, che pure affondava le sue radici sia nella concezione augustea dello stato che nelle scelte della legislazione normanna, vi era senz'altro la convinzione di Federico II del pericolo che poteva derivare dall'autonomia di eventuali statuti municipali. Questo orientamento costituì l'ostacolo maggiore ad un profondo sviluppo del Mezzogiorno poiché non favorì il formarsi di una vera borghesia nel settore del commercio determinando, al contrario, quella persistente debolezza della classe mercantile ed imprenditoriale del Sud, impossibilitata a sostenere il confronto con i mercanti pisani, genovesi o veneziani.
La politica di Federico era del resto prevalentemente orientata ad un miglioramento dell'agricoltura, prevedendo contratti di locazione agevolati per i suoli demaniali incolti e un controllo maggiore, tramite inventario, delle terre, delle massarie e delle foreste regie. Egli affidò l'amministrazione a magistri massararium e ordinò la ristrutturazione delle antiche massarie curiae prescrivendo norme rigorose per l'allevamento di bovini, ovini e suini e per un adeguato sfruttamento delle risorse dei campi.
Nonostante non risiedesse a lungo in Basilicata Federico II operò una generale ristrutturazione delle fortificazioni; circa trenta, secondo l'elencazione degli statuta officiorum, erano i fortilizi nel territorio regionale quando Federico ordinò la costruzione del castello di Lagopesole (1242), la ristrutturazione della domus di Palazzo S. Gervasio e la costruzione del portale della basilica della Trinità di Venosa; inoltre, nel giugno del 1241, il sovrano stabilì che si disponesse a Melfi il centro di raccolta della tesoreria imperiale e la fondazione di una delle tre Scholae ratiocinii del Regno di Sicilia.
I rapporti fra Federico e la Santa Sede erano sempre più tesi ma i vescovi lucani riconoscevano il primato dell'Imperatore ed erano poco coinvolti nelle predicazioni degli ordini mendicanti, francescani e domenicani, che pronunciavano invettive contro il sovrano svevo; e forse proprio per rafforzare la sua posizione nei confronti del Papa, Federico donò ampi possedimenti, nel territorio di Melfi, ai Cavalieri Teutonici suoi sostenitori; nello stesso tempo proseguivano i lavori sia a Rapolla, per la costruzione della chiesa, che a Potenza per l'edificazione della cappella del duomo, in cui dovevan trovare posto onorevole le ossa di Gerardo di Piacenza, santificato nel 1120. Nell'estate del 1243 Federico ritornò nel Vulture per accogliere gli ambasciatori di pace inviatigli da Innocenzo IV, ma le condizioni imposte dal pontefice erano inaccettabili cosicché, due anni dopo il Concilio di Lione dichiarava decaduto Federico II, posizione che raccoglieva i consensi dell'alta burocrazia corrotta dall'offerta di feudi. Nel 1246 i tumulti e le defezioni seguiti a questa decisione sarebbero stati soffocati col sangue; nel Regno, violenta fu la vendetta degli Svevi che distrussero il castello di Capaccio e costrinsero, quando ebbero salva la vita, le potenti famiglie locali alla fuga e fra queste i Sanseverino, conti di Marsico e di Chiaromonte. Severo con i traditori, contro cui era capace di qualunque crudeltà, Federico pare applicasse sovente anche il rogo, sub hereticorum pretextu, per punire i suoi malcapitati oppositori. Fra il 1249 e il 1250 il Re tornerà più volte nel Vulture ma il suo aspetto non sarà più quello "solatiosus, jocundus, delitiosus " degli anni precedenti; sconfitte, defezioni e forse rimorsi, riferiscono i testimoni dell'epoca, ne avevano incrinato la stella quando, nella notte fra il 13 e il 14 dicembre del 1250, di ritorno da una battuta di caccia, ordinando di essere avvolto in un saio grigio, Federico II si spense alla presenza del figlio Manfredi e di Bianca Lancia, in Castelfiorentino presso Foggia. La volontà di Federico II che in punto di morte coperto del saio cistercense, ordinava il perdono dei prigionieri e la restituzione dei beni sottratti alla chiesa, esprimeva il desiderio del sovrano di morire in pace come imperatore romano cristiano. Al severo estremo contegno di Federico II, papa Innocenzo IV corrispose esultanti parole, partecipando così la notizia ai fedeli: "I cieli possono allietarsi e la terra può esultare perché l'impeto della tremenda procella con la quale l'Onnipotente ci ha finora afflitti, è passato". La morte di Federico II di Svevia, malgrado l'enfasi liberatoria del Papa, avrebbe coinciso invece con l'inizio di uno dei periodi più tragici della storia del Mezzogiorno. Se a Melfi Federico aveva istituito la corte con gli uffici imperiali, a Venosa la residenza domestica e a Lagopesole la dimora del riposo e della caccia, con la caduta degli svevi sarà proprio il Vulture a risentire subitaneamente degli influssi di una destrutturazione devastante. Affidate Acerenza e S. Fele al controllo di Giovanni Moro, Tolve e Rapolla al presidio di Galvano Lancia, con i saraceni acquartierati a Lucera e i Cavalieri Teutonici a Torre Alemanna, Federico II era riuscito per la prima volta a garantire un sistema difensivo di grande sicurezza per la regione.
Ma il pericolo e le prime avvisaglie di una cospirazione "guelfa" venivano dal sud della Basilicata dove i Sanseverino, al confine con i loro possedimenti calabri di Bisignano, fomentavano con il Papa la caduta della dinastia sveva.
La successione al trono di Federico II si concluse con un grande spargimento di sangue cominciato con la defezione di Giovanni Moro, punita con la morte da Galvano Lancia, costretto poi a bruciare Rapolla che gli si era sollevata contro, finita con le centinaia di vittime di parte ghibellina trucidate per ordine di Ruggero Sanseverino, fra queste i conti Pietro e Guglielmo di Potenza, il giureconsulto Pietro di Campomaggiore, Enrico di Pietrapalomba e tanti altri. Così si compiva la penetrazione papale e angioina, contro cui nulla aveva potuto la sfortunata discesa di Corradino di Svevia finita tragicamente a Tagliacozzo nel 1268. Gli Angioini avevano vinto e re Carlo, che pure si fermò brevemente a Melfi nell'autunno del 1269, spostò a Napoli il centro del suo potere, sottraendo così alla città del Vulture le rilevanti funzioni politiche ed amministrative.