La colonizzazione di Siris, situata presso la riva del fiume omonimo oggi detto Sinni, avvenne sul finire dell'VIII sec. a.C. ad opera dei Colofoni, una colonia greca fuggita in Occidente per scampare alla dominazione Lidia.
La fondazione di Metaponto, avvenuta nel 630 a.C. circa da parte degli Achei, porterà ad un primo frazionamento nell'area della costa ionica; e saranno due modelli coloniali sostanzialmente diversi a fronteggiarsi, quello acheo (Sibari, Metaponto) basato sulla centralità della terra e dello spazio agrario, delle cui conseguenze tratteremo più avanti, e quello sirita meno accentratore e maggiormente permeato dalle preesistenze indigene, anche nella metodologia di sfruttamento della terra.
Nel corso del VI. sec. a.C. ognuna delle due città era ormai padrona di un territorio molto vasto (chorà) al punto che l'influenza di Metaponto era ormai estesa fino a Pisticci e Montescaglioso e, quella di Siris, fino a S. Maria D'Anglona e Montalbano, la cosiddetta Siritide.
L'arrivo dei coloni greci, che fu dapprima sporadico e poi massiccio, comportò numerose conseguenze e alterazioni dell'ambiente fisico dell'area costiera ionica e delle aree interne, raggiunte mediante le valli fluviali.
Ed è proprio all'insistente ricerca di nuovi terreni da coltivare (prevalentemente per cereali ed ulivi) che si attribuisce il forte disboscamento e la conseguente erosione dei versanti argillosi perdurata fino agli inizi del III sec. a.C. ed alla quale si possono far risalire quelle forme calanchive che tutt'oggi caratterizzano il paesaggio dell'area orientale della Basilicata. Ma, aldilà di queste tragiche conseguenze dovute alla forte pressione antropica, è indubitabile che le spinte culturali provenienti dal mondo greco determinarono una importante svolta di civiltà in Basilicata, trasformandone la cultura e la geografia interna. Molti insediamenti, risalenti all' VIII-VII sec. a.C., sono stati ritrovati nelle aree interne del Vallo del Diano e della Val D'Agri, ricche e numerose necropoli nelle quali è stato possibile rintracciare le fila di quella sostanziale unità etnica di cui parlavamo precedentemente: utensili in argilla ben depurata con disegni geometrici a tenda, ceramica enotria, armi e accessori - connotazioni distintive dei guerrieri-, oggetti e "parures" femminili che caratterizzavano lo status principesco di alcune donne della società del tempo.
Con gli scavi condotti ad Alianello, Armento, Roccanova, Incoronata, Cozzo Presepe, Pisticci e Serra di Vaglio, emerge come proprio la Lucania interna, in questa fase, si caratterizzi quale importante crocevia di ethnos diversi, così come evidenzia la diffusione di oggetti di lusso, di chiara matrice etrusca, e l'affermazione dei costumi e dell'organizzazione sociale ellenica (adozione dell'armamento greco e comparsa della figura del cavaliere).
Questa convergenza di culture si imprimerà nel sostrato indigeno "enotrio", creando condizioni di civiltà ed impulsi di progresso inusitati, come ampiamente dimostrano i ritrovamenti dell'area del Melfese e quelli di Serra di Vaglio. Qui, in particolare, la presenza di un imponente santuario (l'area sacra di Braida), dalle caratteristiche strutturali e stilistiche molto evolute, e di grandi edifici decorati nello stile Metapontino e Poseidoniate , testimoniano di una realtà civile e sociale molto ben strutturata e certamente mediata dalle mature esperienze delle due città costiere.
Altro nodo importante, come dicevamo, era costituito dall'area del Melfese che, grazie al fiume Ofanto, incrociava importanti itinerari di scambi. Una conferma di questa facilità e continuità di rapporti arriva dagli scavi effettuati nelle grandi necropoli di Pisciolo e Chiuchiari e in quelle di Ruvo del Monte dove, i ricchi corredi funerari, presentano i segni e le influenze del mondo daunio ( i vasi riccamente decorati), di quello etrusco (vasi e candelabri in bronzo) e di quello greco (le coppe ioniche e vasi di imitazione locale).
Fra il VI ed il V sec. a.C. però, questo ipotizzabile equilibrio tra coloni greci ed "enotri" viene intaccato, provocando una trasformazione improvvisa nel quadro territoriale della Basilicata dove alcuni degli insediamenti più fiorenti, ricaduti nel raggio delle chorai greche, scompaiono (l'Incoronata e S. Maria di Anglona), mentre altri, soprattutto nelle zone più interne della regione, si fortificano presentando una loro evoluta strutturazione
interna. È quanto avviene a Pisticci, Ferrandina, Montescaglioso, Timmari, Garaguso, Ripacandida e Satriano, dove si costruiscono sia le prime cinte fortificate che alcuni importanti santuari, ubicati presso le sorgenti e prevalentemente votati a divinità femminili .
Questa trasformazione interna si colloca in un quadro storico estremamente movimentato che, sul finire dell'età arcaica, vede gran parte dell'Italia e dei suoi gruppi etnici coinvolti in una moltitudine di conflitti ed avvicendamenti, che avrebbero azzerato e riformulato gli equilibri territoriali costituitisi fino a quel momento.
Le ostilità si aprono tragicamente nel 510 a.C. con la distruzione di Sibari per mano dei Crotoniati, un avvenimento che trasformerà radicalmente le sorti economiche dell' area della Magna grecia che perdeva, così, la città più rappresentativa. Con Sibari, di fatto, si distruggeva un'esperienza politica a forti coloriture democratiche alla quale si opponeva, vittoriosamente, il modello pitagorico di Crotone, ispirato ad un acceso conservatorismo. Ma se la città fu distrutta, provocando nuovi equilibri nella gestione dei traffici sul Mediterraneo, le spinte democratiche, invece, le sopravvissero determinando quei movimenti antioligarchici che tanto avrebbero inciso nella ristrutturazione della società del tempo; lo stesso Pitagora venne poi esiliato finendo i suoi giorni a Metaponto.